Via Sant'Ignazio da Laconi
Un capolavoro della Sardegna romana costruito tra il I e il II secolo d.C., che si stima echeggiasse degli applausi di 8.000-10.000 spettatori. Questo straordinario monumento, per buona parte scavato nella roccia, offre uno squarcio sulla grandiosa ingegneria e sulla cultura dell'intrattenimento romane, con i suoi spazi sotterranei e un avanzato sistema di raccolta dell'acqua, testimoniando la magnificenza di un'era passata.
L’anfiteatro, l’edificio pubblico più importante della Sardegna romana, deputato ad accogliere gli intrattenimenti per il popolo, fu costruito probabilmente a fasi alterne tra la fine del I e gli inizi del II secolo d.C. Incastonata ai piedi del colle di Buoncammino, la struttura ospitava tra gli 8.000 e i 10.000 spettatori e fu in parte scavata nella roccia e in parte costruita con grossi blocchi di pietra calcarea. Ancora oggi sono ben visibili le gradinate, la cavea, suddivisa in tre ordini che riflettevano la distinzione tra le diverse classi sociali. Il ripiano del podium che si affacciava direttamente sull’arena era riservato ai senatores, i cittadini più illustri, mentre l’ima media e summa cavea erano destinate agli uomini liberi, equites e plebei, e alle donne. I distinti livelli risultavano separati dalla muraglia chiamata precinzione e i vari corridoi ambulacra giravano attorno alla cavea e immettevano tramite specifiche entrate, i vomitoria, nei corridoi scoperti collocati alla base di ciascuna gradinata.
Nello spazio ellittico centrale dell’anfiteatro si svolgevano gli spettacoli teatrali (commedie e tragedie) e circensi (corse di cavalli), le venationes (battute di caccia che contrapponevano uomini ad animali feroci), i summa supplicia (le esecuzioni capitali) e i munera gladiatoria (i combattimenti tra i gladiatori). L’anfiteatro disponeva di ambienti sotterranei: la crypta, un corridoio di servizio al quale si accedeva tramite dei varchi, le grandi nicchie dotate di abbeveratoi in cui venivano incassate le gabbie degli animali utilizzati per gli spettacoli e i carceres, gli spazi in cui sostavano provvisoriamente i gladiatori prima dell'entrata in scena. Inoltre un ambiente rettangolare, la cella libitinaria in riferimento a Libitina, la dea della morte, serviva come deposito temporaneo per i caduti durante i combattimenti, mentre sotto l’arena si trovavano le fossae che accoglievano i macchinari per i cambi di scenografia.
La naturale pendenza del terreno consentì la raccolta dell’acqua piovana tramite un sistema di canalizzazione lungo novantasei metri, ancora oggi visibile, che attraversa l'anfiteatro e termina ad ovest in un’ampia cisterna situata nel vicino Orto dei Cappuccini. Su una parete di questo corridoio è stato scoperto un graffito paleocristiano raffigurante la Navicula Petri, la Nave della Chiesa, probabilmente realizzato da un detenuto in attesa di essere ucciso nei giochi dell’arena.
L’anfiteatro perse la sua funzione in seguito alla diffusione del cristianesimo e diventò una cava subendo una vera e propria spoliazione che portò alla distruzione della monumentale facciata alta circa venti metri e rivolta a sud. Il Comune di Cagliari acquisì il monumento nella metà dell’Ottocento affidando gli scavi al canonico Giovanni Spano, affiancato dall’archeologo Vincenzo Crespi e dall’architetto Gaetano Cima. Dopo un nuovo periodo di abbandono l’anfiteatro suscitò un rinnovato interesse in epoca fascista, diventando sede di alcuni raduni voluti dal regime e negli anni Trenta il sopraintendente Teodoro Levi realizzò un restauro dell’opera. Durante la seconda guerra mondiale le cavità del monumento accolsero un gruppo di sfollati in seguito ai tragici bombardamenti. Oggi l’anfiteatro romano, aperto durante tutto l’anno, attira numerosi turisti e visitatori.
Dal 28 aprile al 30 settembre
LUNEDÌ - DOMENICA
dalle 10:00 alle 13:00
dalle 15:00 alle 19:00
La biglietteria chiude mezz’ora prima
Dal 1 ottobre al 27 aprile
LUNEDÌ - DOMENICA
dalle 10:00 alle 17:00
La biglietteria chiude mezz’ora prima